Sono in molti a sostenere che il “tendone” abruzzese, e le forme a pergola in generale, non si prestino a produzioni di qualità.

I pregi e i limiti dei sistemi a pergola: La qualità con il “tendone” è possibile

Tendone

Esistono motivi validi per questa critica: bassa densità di impianto, produzioni troppo elevate per eccessivo carico di gemme e quindi di grappoli, creazione di un ambiente ombreggiato e umido nella zona fruttifera, con conseguenze negative sulla composizione delle uve e sulla loro sanità. In Abruzzo, come in altre regioni, i piani regionali per la ristrutturazione dei vigneti ai sensi del piano di sviluppo rurale favoriscono la riconversione degli impianti verso le forme a controspalliera. Non manca chi difende appassionatamente la «pergola abruzzese», tra cui personaggi autorevoli come Edoardo Valentini, uno dei produttori più prestigiosi della regione. In alcuni anni il nostro gruppo di lavoro ha raccolto alcune migliaia di dati in oltre cento aziende, ed è giunto alla conclusione che, pur essendo, in linea di massima, consigliabile una graduale riconversione verso forme a spalliera, non è tuttavia utile accelerare forzatamente tale processo, perché un vecchio vigneto a «tendone«, se ben condotto, rappresenta un capitale sotto vari punti di vista, può dare uve di eccellente qualità, e non va sacrificato a quella smania di innovare a tutti i costi e al più presto che, nella storia della viticoltura, ha fatto spesso più danni che profitti. Per ottimizzare i risultati occorre però, in molti casi, introdurre alcuni miglioramenti nella gestione. Come tutte le scelte, la «capanna«, come la chiamano i vignaioli abruzzesi, ha pregi e difetti. Esaminiamo innanzi tutto come si comporta rispetto ad alcune variabili ambientali e agronomiche. Molte di queste osservazioni valgono per tutte le forme di allevamento a chioma orizzontale.
Alimentazione idrica e rischio di stress Secondo i sostenitori, in un clima con estati calde e spesso aride, il «tendone» evita un eccesso di traspirazione della chioma, e ombreggia il terreno riducendone l’evaporazione, limitando quindi il rischio di stress idrico. In verità a queste osservazioni, sicuramente corrette, se ne contrappone un’altra, e cioè che la distanza tra le radici e le porzioni distali della chioma comporta una notevole differenza di potenziale tra la tensione dell’acqua nel suolo e quella nelle foglie più distanti. Perciò i due effetti potrebbero, in teoria, elidersi a vicenda, e comunque la maggiore o minore resistenza dell’una o dell’altra forma alla siccità restano da verificare. In annate molto calde e siccitose come il 2003 non é sembrato che il «tendone» abbia resistito allo stress meglio della controspalliera. In realtà la minore o maggiore resistenza allo stress idrico dipende verosimilmente dalle condizioni che si presentano nell’annata. Se la principale causa di stress é la scarsità di acqua nel suolo, pur in presenza di un livello normale di traspirazione della pianta (quindi di un’umidità dell’aria non troppo bassa e temperature non eccezionalmente calde), probabilmente il tendone resiste peggio rispetto a forme di allevamento a sviluppo più contenuto. Invece se lo stress é dato soprattutto da uno squilibrio di traspirazione (clima estremamente caldo, ventilato e asciutto) pur in presenza di una certa umidità nel suolo, é possibile che la pergola ammortizzi meglio tale squilibrio rispetto a spalliere a palizzamento verticale (ma non rispetto ad un cordone libero basso o ad un alberello, che rimangono, in definitiva, le soluzioni migliori per gli ambienti a forte rischio idrico).
Densità di impianto, carica di gemme, produzione Il «dogma«, tipicamente francese, dell’alta densità di impianto e della bassa produzione per pianta come presupposto per un’alta qualità delle uve vacilla ogni giorno di più, sotto il peso di una mole crescente di dati sperimentali e di esperienze pratiche (vedi, tra i più recenti, l’articolo di Intrieri e Poni su IA n. 5 del 2005): in particolare quando si pretende di applicare tale teoria (che é sostanzialmente valida per un certo intervallo di valori, dipendente dal vitigno e dall’ambiente) impiantando le viti molto vicine tra loro in climi caldi e su suoli fertili, condizioni tipiche di gran parte della viticoltura abruzzese. Tuttavia le 1600 piante per ettaro del classico tendone 2,5 x 2,5, potato a 4 tralci, sembrano davvero troppo poche, soprattutto se rapportate a volumi di produzione che possono raggiungere e superare i 15 chilogrammi per pianta, arrivando fino a 20 kg e oltre su Trebbiano, in corrispondenza di un carico di gemme dopo la potatura intorno alle 25-30 per pianta. Suddividere simili carichi gemmari e produttivi su un numero più alto di piante non è di certo una condizione sufficiente per migliorare la situazione: bisogna comunque realizzare un migliore equilibrio del vigneto, che vuol dire equilibrio di ogni singola pianta. Per migliorare la qualità occorre ridurre il vigore e la produzione in modo più che proporzionale rispetto all’eventuale riduzione della distanza tra le piante, riduzione che si può operare lungo una delle due direttrici: questo comporta che i passaggi nel vigneto non potranno più avvenire «in croce» ma solo lungo una direzione, come avviene nei vigneti a controspalliera.
Tratto da un lavoro di: Maurizio Gily – Agronomo, consulente vitivinicolo Fonte: http://www.gily.it/articoli/la%20qualit%C3%A0%20con%20il%20tendone.htm
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