Come evitare la presenza di Pseudomonas syringae pv. actinidiae nelle plantule di kiwi prodotte in vitro

Prof. Umberto Mazzucchi

Da quasi mezzo secolo è noto che Pseudomonas syringae può albergare all’interno di alberi nei tessuti delle branche, del tronco e delle grosse radici e che la sua presenza endofita (cioè di microganismo che vive all'interno degli organi della pianta, sia nella parte aerea che in quella sotterranea) può essere accertata anche in assenza di sintomi nella parte aerea.

Le conoscenze acquisite recentemente in Italia sul ciclo vitale di Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa) indicano che il batterio possa albergare entro branche e tronchi di piante asintomatiche di kiwi, dove può essere penetrato settimane o mesi prima.

Dalle maculature fogliari, ad esempio, durante la stagione vegetativa il batterio può traslocare entro le nervature di ordine decrescente fino al picciolo e di là penetrare nel ramo; dopo la caduta delle foglie, la futura branchetta rimane asintomatica almeno fino alla primavera successiva; più tardiva è la caduta delle foglie maculate, più lungo è il tempo a disposizione del patogeno di penetrare nella futura branchetta. Si ammette comunque che nei germogli, nei rami e nelle branche la penetrazione di Psa possa avvenire direttamente attraverso lenticelle e ferite di vario tipo.

Tipiche maculature fogliari con alone clorotico causate da Pseudomonas syringae pv. actinidiae.

Il cancro batterico del kiwi da Psa è assimilabile per certi aspetti sintomatici ed epidemiologici al cancro batterico delle drupacee da Pseudomonas syringae pv. syringae (Pss). Entrambi i patogeni sono riferibili alla stessa specie e Psa non è altro che una particolare popolazione di P. syringae patoadattata al kiwi dotandosi di appropriati fattori di virulenza. E’ ragionevole ammettere che i due patogeni abbiano stili di vita affini.

A Psa come a Pss nelle drupacee si deve riconoscere la capacità di svolgere una vita endofita entro le piante del kiwi e di dar luogo ad infezioni latenti sistemiche. E’ probabilmente questo il principale motivo per cui i risultati della lotta chimica sono variabili e spesso inefficaci. I prodotti di copertura, ad esempio, possono prevenire le infezioni solo nelle piante dove Psa non è presente endofita in forma sistemica; parimenti gli induttori di resistenza possono risultare inefficaci quando i tessuti dove alberga Psa appartengono a parti della pianta dove la induzione non ha luogo.

Nella foto a destra: flusso di color rosso-bruno fuoriuscente nel mese di aprile da un tronco in una pianta di kiwi infetta da Pseudomonas syringae pv. actinidiae.

La letteratura su P. syringae indica che le popolazioni endofite delle branche, dei tronchi e delle grosse radici abbiano massimi numerici in febbraio-marzo e in settembre-ottobre e minimi in aprile-agosto. Naturalmente in alberi asintomatici ci si deve aspettare una minore frequenza di popolazioni endofite e una loro distribuzione disuniforme tra le parti dell’albero.

La fase endofita di Psa, come del resto quella epifita (cioè di microganismo che vive alla superficie degli organi della pianta, sia nella parte aerea che in quella sotterranea), in piante asintomatiche pone seri problemi all'industria vivaistica. Lo stato delle piante madri da cui si preleva il materiale iniziale per la propagazione è un punto critico, come si può ben riconoscere dalle misure prescritte dal decreto ministeriale del 7 febbraio 2011 ( G.U. 25 Marzo 2011). 

Anche se la pianta madre è asintomatica, c’è sempre il rischio che Psa sia associato a tessuti asportati e possa essere trasferito ai nuovi individui. Il rischio è tanto maggiore quanto più grande è la massa asportata per la propagazione. Il controllo visivo delle piante madri durante la stagione vegetativa e l’analisi batteriologica, o meglio molecolare, di campioni di parti asportate sono necessari, ma non sufficienti. Di fatto la distribuzione di Psa tra le varie parti o gemme delle piante madri è irregolare e la carica batterica è presumibilmente assai bassa, particolarmente se la pianta  è asintomatica.

Gli individui prodotti per innesto dovranno pertanto essere monitorati con cura nel tempo per presenza di sintomi e al termine del ciclo vivaistico controllati per escludere infezioni sistemiche. Maggiore affidamento può invece offrire la propagazione in vitro se al controllo delle piante madri si aggiungono controlli visivi nel corso dell’allevamento e dei trapianti delle plantule. Un metodo di controlli fitosanitari dei materiali all’inizio e durante la propagazione in vitro fu descritto dal danese Hellmers oltre mezzo secolo fa per il risanamento dei garofani dalle infezioni  di Pseudomonas caryophylli (attualmente denominato Burkholderia caryophylli), batterio vascolare, agente di infezioni sistemiche culminanti in vistosi cancri dei fusti [Hellmers,1958.Dansk Botanisk Arkiv,18(2),13-94]. Il successo del metodo nella industria vivaistica fu tale da essere chiamato appunto "metodo Hellmers".

Trasferendo la strategia del "metodo Hellmers" al patosistema kiwi-Psa si ha alta probabilità di ottenere plantule esenti da Psa al termine dell’allevamento in vitro. Il materiale iniziale prelevato dalle piante madri, dopo essere stato decontaminato dai microrganismi occasionali associati alla superficie, dovrebbe essere inseminato in un substrato tale da consentire sia lo sviluppo di Psa che dei tessuti trapiantati. Analogamente nei trapianti successivi delle plantule si dovrebbero usare di nuovo substrati favorevoli anche alla crescita di Psa.

Durante l’allevamento delle plantule a temperature compatibili con la moltiplicazione di Psa si dovrà controllare visivamente ogni vaso e scartare tutti quelli mostranti contaminazione batterica. Lo scarto dei vasi contaminati da microrganismi occasionali vien fatto comunque  durante l’allevamento in vitro e pertanto non dovrebbero aver luogo incrementi di spesa rispetto alla normale gestione.

Recenti esperimenti indicano che l’applicazione del metodo è possibile e potenzialmente efficace. Due ceppi virulenti autentici di Psa sono stati inseminati su tre substrati (17, 17E, 175) usati di routine dalla Vitroplant (Cesena) per la propagazione in vitro del kiwi.

Entrambi i ceppi sono cresciuti sui tre substrati, sebbene la loro crescita a 25°C sia stata piuttosto lenta. Inseminando su piastra singoli batteri, dopo 8 giorni le colonie avevano nei tre substrati un diametro di 1,5-2 mm, forma circolare, margine intero, elevazione convessa, colore cammello chiaro; nei giorni successivi le colonie si allargavano di poco e assumevano elevazione umbonata. Colture contemporanee di controllo per entrambi i ceppi su un substrato semiselettivo KBC usato nei laboratori di fitobatteriologia producevano dopo 8 giorni a 25°C colonie morfologicamente indistinguibili per aspetto (esclusa la tardiva elevazione umbonata) e dimensioni da quelle prodotte sui tre substrati usati per l’allevamento in vitro delle plantule di kiwi.

Durante l’allevamento delle plantule di kiwi in vitro non è pertanto necessario effettuare controlli batteriologici sulle plantule asintomatiche quando il substrato è favorevole alla crescita di Psa e non presenta alcuna contaminazione riferibile a batteri. È sufficiente constatare la assenza di crescita batterica nei vasi. Nei tre substrati in parola la crescita di Psa a temperatura prossima a quella di allevamento delle plantule è risultata indistinguibile da quella sul substrato semiselettivo KBC usato per l’isolamento di Pseudomonas syringae dai materiali vegetali e dall’ambiente (Mohan e Schaad,1987.Phytopathology 77,1390).

La crescita lenta di Psa nel substrato semiselettivo è conseguenza della presenza di due antibiotici e di acido borico; evidentemente la analoga lenta crescita constatata nei tre substrati saggiati indica che la loro composizione non fosse ottimale per Psa. La selezione dei vasi di allevamento risulterebbe più efficace e tempestiva modificando un po' la composizione a favore della crescita del batterio.

Al termine delle fasi di allevamento in vitro si può prevedere di effettuare analisi batteriologiche su campioni di plantule asintomatiche per escludere che Psa possa essersi propagato allo stato epifita (o endofita) senza contaminare il substrato. L’evenienza, tuttavia, pare poco probabile, soprattutto per gli inevitabili contatti al momento dei trapianti. Terminata la fase in vitro, le piantine dovranno essere ovviamente allevate in condizioni ambientali tali da prevenire il contatto o la vicinanza con sorgenti di inoculo di Psa.

Si ringrazia la Ditta Vitroplant Italia S.r.l. per aver messo a disposizione i substrati per la sperimentazione.

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Umberto Mazzucchi è professore di Patologia Vegetale presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna.

Contatti:
Prof. Umberto Mazzucchi
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali
Università di Bologna
Viale G. Fanin, 40
40127 Bologna
Tel.: (+39) 051 2096726
Fax: (+39) 051 2096746
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